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Notizie, novità sulla ricerca, la prevenzione e la cura, iniziative dell’associazione… trovi tutto qui, nella sezione News del nostro sito.

La storia di Federica

La storia di Federica

Quello che so sulla mia malattia è perchè mi è stato raccontato dai miei genitori“. Federica, una bellissima donna di 50 anni, elegante, energica e indipendente, aveva soli 7 mesi quando le hanno diagnosticato il retinoblastoma. “Mia mamma mi ha detto di notare l’occhietto sinistro un po’ strabico e lucente di notte. Nel dubbio, mi hanno portata al centro oftalmico di Roma dove è stato diagnosticato un glioma retinico: allora si chiamava così perchè si pensava che il tumore derivasse dalla glia. Solo anni dopo hanno capito che originava dalla retina“. Purtroppo, all’epoca di Federica, la ricerca non era così evoluta come oggi: non c’erano tac o radioterapia, pertanto le è stato subito asportato l’occhio, togliendo quanto più possibile, per evitare di lasciare tracce tumorali.

I miei mi hanno raccontato che ho compiuto un anno in ospedale – racconta ancora Federica – Ho portato sin da subito una protesi in vetro che mi ha dato diversi problemi: spesso lacrimavo e mi dava molto fastidio. Una volta adulta, ho finalmente trovato un centro che realizza protesi in resina personalizzate con una particolare attenzione alla persona. Ho voluto anche documentarmi sulla mia malattia: mi sono letta tutta la mia cartella clinica e mi sono anche preoccupata perchè avevo letto che il retinoblastoma poteva essere di tipo familiare, motivo per cui ho fatto anche un esame genetico. Il mio si è rivelato un caso sporadico, anche perchè in famiglia non abbiamo nessun caso di tumore“.

Oggi Federica racconta la sua storia con un’energia coinvolgente, grata della tempestività e dell’intuizione che hanno avuto i suoi genitori al tempo.

Nella mia vita non mi sono mai fermata, sarà che quando hai qualcosa in meno, ti senti sempre di dover dare il massimo per dimostrare che sei come gli altri. Per questo devo ringraziare moltissimo i miei genitori, che non mi hanno mai nascosto quello che mi era capitato e che mi hanno sempre fatta sentire ‘normale’. Perchè, se chi ti circonda ti fa sentire normale, tu ti sentirai tutta la vita normale“.

 

Retinoblastoma, il fumo materno in gravidanza potrebbe essere un fattore di rischio

Retinoblastoma, il fumo materno in gravidanza potrebbe essere un fattore di rischio

Secondo la ricerca di Di He, PhD, il fumo materno durante la gravidanza può essere un fattore di rischio per il retinoblastoma, in particolare tra i casi unilaterali.

Nella ricerca, gli autori hanno dato indagato sul fumo materno e la sua possibile correlazione all’insorgenza del retinoblastoma.

I ricercatori hanno utilizzato la presenza di biomarcatori del fumo di tabacco nelle macchie di sangue essiccato neonatale per determinare un’associazione tra fumo e sviluppo del retinoblastoma.

Lo studio ha incluso casi selezionati casualmente di retinoblastoma (n = 498) e controlli (n = 895) nati tra il 1983 e il 2011 da uno studio caso-controllo basato sulla popolazione in California.

I ricercatori hanno riferito che il fumo materno correlato alla gravidanza è stato misurato utilizzando metriche chiave: fornitore o fumo auto-riferito durante la gravidanza e cotinina e idrossicotinina nel sangue neonatale.

Sulla base delle 3 metriche è stato osservato che “il fumo materno alla fine della gravidanza o all’inizio del postpartum era correlato allo sviluppo del retinoblastoma (tutti i tipi, odds ratio, 1,44, intervallo di confidenza al 95%, 1,00-2,09)”.

Quando hanno fatto affidamento su cotinina o idrossicotinina per accertare il fumo, il fumo materno era correlato al retinoblastoma unilaterale (odds ratio, 1,66, intervallo di confidenza al 95%, 1,08-2,57).

I ricercatori hanno concluso che il fumo materno può essere un fattore di rischio per lo sviluppo del retinoblastoma, specialmente nei casi unilaterali.

 

Riferimento

He D, Huang X, Uppal K, et al. Biomarkers of maternal smoking and the risk of retinoblastoma in offspring.Retina. 2023;42:481-9; DOI: 10.1097/IAE.0000000000003678

Fonte: Ophthalmology Times

L’importanza della diagnosi precoce: la storia di Olivia

L’importanza della diagnosi precoce: la storia di Olivia

Olivia è stata diagnosticata con retinoblastoma all’età di due anni dopo che la madre ha notato un bagliore strano nel suo occhio destro mentre guardava la TV. Non aveva sintomi e la madre non pensava che fosse qualcosa di serio, ma il suo istinto le ha suggerito di controllare. Dopo una visita dall’optometrista, è stata confermata la probabilità di retinoblastoma e Olivia è stata immediatamente mandata in ospedale.

Da allora, Olivia ha subito molti trattamenti ed è stata sottoposta ad anestesia generale circa 20 volte. La madre afferma che l’esperienza ha cambiato completamente il loro punto di vista sulla salute degli occhi e ora incoraggia gli altri a fare controlli regolari per prevenire problemi simili. Una storia che ricorda ancora come sia importante il ruolo della prevenzione.

Qui trovate tutta la storia di Olivia.

La storia di Ilaria

La storia di Ilaria

Ilaria Facci, una giovane fotografa di successo, è un ex’paziente affetta da Retinoblastoma. La sua esperienza iniziò quando aveva solo due anni e la sua mamma, da una fotografia, notò qualcosa di anomalo negli occhi della piccola Ilaria, che fu diagnosticata con un tumore alla retina. Ilaria ha dovuto sottoporsi a un intervento chirurgico, ma è stata in grado di sconfiggere la malattia e di continuare a vivere una vita piena e felice.

Ilaria parla della sua esperienza con la malattia non come una sfida fisica, ma come un’opportunità per vedere la sua vita in modo nuovo e ricco d’amore. La sua passione per la fotografia è diventata un mezzo per esprimere la sua arte e per condividere la sua visione del mondo con gli altri. Ilaria sta attualmente lavorando a un progetto fotografico che ritrae persone che hanno affrontato la Retinoblastoma, come una bambina di tre anni e una ballerina cieca. Questo progetto artistico sarà anche una campagna di sensibilizzazione per la malattia e il ricavato del libro verrà utilizzato per aiutare i bambini affetti da Retinoblastoma in Africa.

Questa storia di Ilaria e di altri pazienti che hanno affrontato la Retinoblastoma offre un messaggio di speranza e di coraggio per le famiglie che affrontano questa malattia. Con una diagnosi precoce e un trattamento adeguato, i bambini possono sconfiggere questa malattia e vivere una vita piena e felice. Inoltre, è importante che le famiglie non perdano mai la speranza e che affrontino questa sfida con amore incondizionato per la vita.

In conclusione, il Retinoblastoma può essere una sfida difficile per le famiglie, ma con la diagnosi precoce e il trattamento adeguato, i bambini possono superare questa malattia e vivere una vita piena e felice.

 

Fonte: Siena News

Rendiconto 2021 relativo al 5×1000

Rendiconto 2021 relativo al 5×1000

In questo articolo pubblichiamo il rendiconto 2021 relativo al contributo 5×1000.

Grazie a tutti voi che avete scelto la nostra associazione come destinataria del 5×1000 e che, con il vostro contributo, avete sostenuto i nostri progetti.

Clicca sui link qui sotto per visualizzare il rendiconto completo:

Rendiconto 2021 5×1000: pdf
Rendiconto 2021 5×1000: pdf

 

 

Donato nuovo macchinario diagnostico all’Ospedale Bambin Gesù

Donato nuovo macchinario diagnostico all’Ospedale Bambin Gesù

Grazie al 5×1000 e a tutte le generose donazioni ricevute, abbiamo potuto acquistare e donare all’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma un nuovo apparecchio diagnostico, Optos’ Daytona, utile per la diagnosi precoce del retinoblastoma. Di seguito i ringraziamenti del Dott. Carlo Gandolfo.

“Gentile presidente AILR Vogliate lei e l’associazione da lei presieduta accogliere i più sinceri ringraziamenti per questo gesto di indubbia generosità. Anche con il vostro sostegno, tutti insieme potremo migliorare il percorso diagnostico-terapeutico di bambini affetti da retino-blastoma.  Lo studio consensuale binoculare della patologia eseguito con dispositivi moderni, quali quello da voi donato, fornisce informazioni insostituibili per la stratificazione e la stadiazione di questa patologia maligna della retina, tipica della più tenera età.  Nel manifestare nuovamente la più sincera riconoscenza di tutta l’unità operativa di Neuroradiologia dell’ospedale Bambin Gesù e mia in particolare per la sensibilità e l’attenzione dimostrate, mi piace cogliere l’occasione per porgere a lei, al CD e ai soci tutti dell’associazione i nostri migliori saluti.”
Carlo Gandolfo

Il nostro impegno per rendere sempre più semplice la diagnosi del retinoblastoma e sostenere tutte le famiglie dei bambini affetti da questa tipologia di tumore prosegue. Se volete sostenere i nostri progetti, consultate la pagina su Cosa potete fare. Buon Natale!

Perchè i bambini hanno i tumori

Perchè i bambini hanno i tumori

Fattori di rischio genetici o circostanze ambientali: ogni anno in Italia circa 2.300 bambini ricevono la diagnosi di un tumore. Ecco cosa ha scoperto la scienza in merito.

 

Perchè i bambini si ammalano di tumore?

Per circa il 90 per cento dei casi la causa è ancora oggi ignota. Si ipotizza che i bambini si ammalino di tumore per l’effetto dell’interazione tra fattori esterni con il patrimonio genetico della famiglia.

«Purtroppo è ancora limitata l’informazione su come nascono i tumori, soprattutto rispetto a quelli che esordiscono in età pediatrica, ma è stata dimostrata l’esistenza di precisi fattori di rischio, che si possono suddividere in genetici e ambientali — spiega Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Oncoematologia pediatrica e terapia cellulare e genica dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma in un articolo pubblicato su Corriere.it —. Il ruolo dei fattori genetici nelle neoplasie pediatriche è un argomento ampiamente dibattuto e ancora lontano da una conclusione definitiva. In sintesi si può dire che, oltre al paradigmatico e ben noto caso del retinoblastoma (che colpisce l’occhio) e del nefroblastoma (che interessa il rene), il numero dei tumori determinati geneticamente è relativamente modesto, pari ad appena il 4-6 per cento del totale dei casi».

 

Predisposizione genetica tra le principali cause del Retinoblastoma

Per i retinoblastomi è stato calcolato che la componente genetica si aggiri intorno al 50 per cento circa, ciò significa che determinate condizioni dei familiari possono influenzare in modo patologico il quadro genetico del bambino.

 

Fattori ambientali influiscono solo nel 3% dei casi

A differenza di quanto dimostrato nei tumori dell’adulto, si ritiene che per meno del 3 per cento dei tumori pediatrici sia plausibile una diretta correlazione con esposizioni ambientali (infezioni, agenti fisici o sostanze chimiche).

Fonte: Corriere.it

Come pulire le protesi oculari: i consigli da seguire

Come pulire le protesi oculari: i consigli da seguire

Grazie alle informazioni forniteci dall’Ocularistica italiana, vediamo insieme come pulire le protesi oculari.

Pulire le protesi oculari: quale liquido usare

La pulizia della protesi oculare deve essere effettuata con un detergente liquido neutro. La protesi, una volta rimossa, va insaponata e strofinata per rimuovere i depositi presenti sulla superficie sciacquata con acqua corrente e reinserita all’interno della cavità. Mai utilizzare liquidi per lenti a contatto, soluzione salina, alcol o acqua ossigenata, che potrebbero rovinare la superficie.

La pulizia delle protesi oculari: quali accorgimenti seguire

La protesi oculare, una volta rimossa, non va mai tenuta immersa in un liquido, ma lavata asciugata e riposta nell’apposito contenitore senza cotone o altri involucri.
Deve essere mantenuta sempre pulita per evitare infiammazioni della congiuntiva presente nella cavità/bulbo atrofico. Per asciugarla, usiamo un fazzolettino di carta monouso, prima di reinserirla.

Quando pulire le protesi oculari?

La pulizia va effettuata una volta a settimana o più frequentemente, in caso di necessità.

Protesi oculari al mare: tutte le precauzioni da seguire

Protesi oculari al mare: tutte le precauzioni da seguire

Arriva l’estate; spesso i genitori ci chiedono se i bambini portatori di protesi hanno delle limitazioni. La risposta è: Assolutamente no!
I bambini portatori di protesi oculari possono fare qualsiasi tipo di attività.

Protesi oculari al mare: i consigli da seguire

Stando all’aria aperta e con il caldo, è più facile che il bambino lamenti secrezione.
La secrezione non è un sintomo che deve preoccuparci perché il caldo e il vento possono asciugare la protesi, la lacrima evapora e rimane la parte più mucosa, che si deposita sulla superficie anteriore della protesi determinando la secrezione. È quindi importante instillare in questo periodo più frequentemente lacrime artificiali.

 

Al bisogno, è importante pulire la protesi più frequentemente, e in caso di infiammazione del bulbo o della cavità si può associare un collirio antinfiammatorio da applicare la sera.
Ricordiamo che tutti i colliri possono essere applicati e instillati direttamente sulla protesi senza rimuoverla.

Protesi oculari al mare: come pulirle

In qualsiasi circostanza, la pulizia della protesi oculare deve essere effettuata con un detergente liquido neutro. La protesi, una volta rimossa, va insaponata e strofinata per rimuovere i depositi presenti sulla superficie sciacquata con acqua corrente e reinserita all’interno della cavità.

Fonte: Ocularistica

Superare la malattia: la storia di Sonia e Matteo

Superare la malattia: la storia di Sonia e Matteo

Siamo una diversità fortunata, diamo un valore aggiunto a quella quotidianità che ci travolge. Siamo delle rarità con una missione; una diversità per fare meglio”.

Sonia è una mamma di 45 anni; ne aveva 4 quando le fu diagnosticato il Retinoblastoma:

Abitavo a Napoli; i miei avevano una macelleria. All’età di 4 anni ho iniziato a vedere male dall’occhio destro. Una cliente suggerì ai miei genitori di portarmi in Spagna, a Barcellona, precisamente al centro di oftalmologia Barraquer per farmi visitare dal dott. Garsia che ci diede la diagnosi precisa: si trattava di Retinoblastoma.

Tornati a casa, mi operarono per un retinoblastoma monolaterale sporadico; a suo tempo nessuno ci informò che poteva essere eriditario. Sono stata enucleata e ho iniziato a indossare la protesi all’occhio destro”.

Napoli Roma – Roma Napoli

Napoli Roma – Roma Napoli in treno, questo era il tragitto che Sonia percorreva insieme al padre per il cambio protesi:

Il viaggio non mi è mai pesato; per me era una gita e un’occasione per trascorrere del tempo con mio padre. A Roma, ci recavamo all’Ocularistica italiana che ancora oggi segue tanti bambini per le protesi”.

“Sono cresciuta nei loro laboratori; grazie a loro ho scoperto come nasceva una protesi di cristallo e quanto il loro lavoro fosse una vera e propria arte. Lì ho trovato una grande famiglia che continua a seguirmi nonostante il passare del tempo. II loro modo esemplare di rapportarsi con i bambini riesce ad alleggerire qualsiasi situazione, compresa la mia”.

Una diversità da cui trarre forza

Nonostante la percezione nel sentirsi “diversa”, Sonia ha continuato ad andare avanti a testa alta:

La diversità e la conseguente frustrazione, date non tanto dalla mia condizione quanto dalla percezione degli altri su di me, sono stati i fattori che mi hanno resa più forte di prima; mi hanno aiutato a superare l’ignoranza e nella crescita di mio figlio.
Ricordo che portavo i capelli lunghi (non è più così!) perché mi servivano a coprire l’occhio destro finché, crescendo, mi sono accorta che le cose importanti erano ben altre”.

Una nuova vita: la nascita di Roberto e la malattia di Matteo

Soffocata da una famiglia troppo protettiva, Sonia decide di lasciare Napoli.

Il 3 settembre del 1999, a 19 anni, ho lasciato Napoli per Roma dove ho trovato lavoro e, dopo 4 anni, ho incontrato mio marito. Essere chiari, soprattutto in una relazione, è estremamente importante. Con lui ho affrontato subito il discorso della malattia. Se le scelte vanno ponderate, la chiarezza è alla base di tutto anche del retinoblastoma”.

Il 5 giugno 2007 ci siamo sposati. In seguito ad un aborto spontaneo, sono rimasta incinta di Roberto, nato l’8 novembre 2008, e due anni dopo, il 2 novembre 2010, di Matteo. La seconda gravidanza è stata inaspettata e a rischio. Al 6° mese mi hanno diagnosticato il Citomegalovirus (si tratta di un virus che può portare a varie problematiche). Per questo, appena nato, Matteo è stato sottoposto subito a dei controlli ben precisi, tra cui anche quello alla vista”.

Da un male un bene

L’importanza di un virus nella scoperta del Retinoblastoma:

Siamo stati fortunati per due motivi: perché quando è nato, Matteo aveva gli anticorpi ma non il Citomegalovirus, e perché tra gli altri controlli c’era la visita oculistica; ci hanno dimesso e schedulato una data per la visita alla vista a Villa San Pietro.

Durante la visita oculistica, i medici hanno notato delle cicatrici sulla retina ma invece di pensare alla mia storia oncologica, hanno collegato la causa direttamente al virus. Io, nonostante allora non sapessi della trasmissione genetica del retinoblastoma, non mi sono fidata dell’esito e ho deciso di rivolgermi ad un altro specialista.

La sera stessa ho scritto alla dott.ssa Modugno dell’Ocularistica italiana e lei prontamente mi ha risposto dandomi un appuntamento con il dottor Romanzo. Mi sono recata lì con mio figlio e lui ha confermato quanto temevo: Matteo aveva un retinoblastoma bilaterale familiare ereditato da me.

A soli 10 giorni di vita, mio figlio ha cominciato questo lungo percorso, iniziando con la risonanza magnetica e poi con l’intervento. A 20 giorni ha subito la prima chemioterapia. Da lì sono trascorsi 11 anni e devo ringraziare il virus. Senza quelle analisi avrei perso Matteo senza poter nemmeno combattere”.

Roberto

Il senso di colpa di Sonia per aver trasmesso, inconsciamente, la malattia a Matteo si ripercuote anche sul figlio più grande, Roberto:

“Se devi affrontare la malattia di un figlio a volte perdi di vista anche gli altri. Matteo si è ammalato quando Roberto aveva poco più di 2 anni. Lui è cresciuto sempre con me e, all’improvviso, mi ha visto scomparire per mesi, perché dovevo seguire le cure del più piccolo. E questo l’ha segnato inevitabilmente. A quell’età i bambini comprendono solo il fatto che tu non ci sei e si sentono abbandonati”.

Infatti, spesso dimentichiamo che la malattia non colpisce solo il paziente ma anche chi gli sta intorno:

Roberto è cresciuto tra nido e ludoteca privata ed ospedaliera. Spesso per logistiche familiari lo portavo alle 5 del mattino e spesso tornavo a prenderlo alle 11 di sera. Questo perché la mia famiglia è lontana e mio marito sempre al mio fianco cercava di conciliare il tutto.

Oggi mio figlio porta una rabbia difficile da gestire a 13 anni, che ai tempi non sapeva esprimere. Invece Matteo è tutt’altro carattere: nonostante le chemio e le numerose anestesie totali, è sempre stato un bambino solare perché non c’è stata una volta che non è stato accompagnato da me in sala operatoria. Fin da piccolo gli ho fatto vivere quella situazione come un gioco: facevamo finta di mettere nella mascherina lo zucchero a velo e il gelato al cioccolato”.

Il bambino dei dolci

Grazie al costante supporto dei medici e degli infermieri, Matteo è diventato la mascotte dell’ospedale:

Matteo è diventato “il bambino dei dolci” grazie al team dell’oculistica e al supporto costante degli infermieri; ci hanno sempre donato gratuitamente amorevolezza, parole dolci, sorrisi in ospedale. Mio figlio non ha mai avuto bisogno di gocce per tranquillizzarsi, aveva bisogno solo della mia mano.

Per Matteo gli infermieri sono diventati degli zii, una grande famiglia. Ora, se passa del tempo tra una visita e l’altra, mi chiede: “mamma quando andiamo a trovare gli zii?”

Per lui l’ospedale non è mai stato un pericolo, ma uno spiraglio di luce.
E questa è una grande vittoria. Significa riuscire a fargli vivere le cose in maniera serena”.

La strada è ancora lunga per Matteo: anche se l’occhio destro è buio ma c’è il suo organo, Sonia segue il percorso clinico del figlio step by step. Bisogna prima:

  • salvare la vita;
  • salvare l’organo;
  • infine vedere la sua funzionalità.

FamigliaL’ignoranza di uno può diventare la speranza di qualcun altro

Grazie all’ignoranza (alla non conoscenza), 40 anni fa sono andata in Spagna, altrimenti non avrei mai saputo del Retinoblastoma.

Grazie all’evento del virus, abbiamo scoperto la malattia di mio figlio.

Da tutte queste esperienze, vissute in prima persona, voglio dire a chi sta attraversando il nostro stesso percorso, che non bisogna chiudersi in se stessi ma che dobbiamo aprirci per andare avanti, brutta o positiva che sia la situazione. È proprio grazie alle tante “aperture” e condivisioni se posso parlare qui, oggi, a nome mio e di Matteo.”

L’importanza dell’AILR

A novembre 2010, subito dopo la scoperta della malattia di Matteo, Sonia è stata tra le prime ad entrare nella famiglia dell’Ailr, fondata da Daniele e Francesca:

L’associazione è fondamentale su tanti punti di vista compresa la comunicazione perché ci mette a contatto con il mondo esterno. L’Ailr ha come obiettivo quello di rendere migliore la vita dei pazienti attraverso testimonianze e progetti di beneficenza; con il lavoro di squadra per lavorare e alleggerire le giornate ospedaliere dei bambini.

Il nostro primo obiettivo è stato quello di acquistare un macchinario (donato all’ospedale di Santa Marinella), per diminuire le anestesie dei bambini e monitorare di continuo la malattia. Aveva un costo di 90 mila euro. Dalla multinazionale spagnola in cui lavoravo, sono riuscita ad ottenere 7mila euro di donazione.
A questo sono seguiti tanti altri progetti:

  • Le stelle di cioccolato di Natale (ora diventati i nocciolati)
  • Le uova di Pasqua
  • Le bomboniere solidali
  • La costruzione del parco giochi a Santa Marinella.
  • La creazione di un gruppo di sostegno per i genitori che devono affrontare questo percorso.
  • La casa di nonna Franca”

Il problema della scuola

Spesso, purtroppo, i bambini con disabilità si scontrano con diverse difficoltà durante l’inserimento scolastico. Sonia ha voluto condividere con noi anche questa esperienza, come monito ai tanti genitori che si trovano nelle stesse difficoltà:

Oggi Matteo ha 11 anni e frequenta la prima media. Con il suo modo solare ci infonde forza, va avanti per la sua strada, nonostante l’ignoranza che deve affrontare ogni giorno, anche a scuola. Gli anni trascorsi alle elementari mi hanno dimostrato che una struttura come quella scolastica ancora non è in grado abbattere le barriere architettoniche sull’inclusione.

Mi sono scontrata con una classe docente che invece di incentivare le diversità costruttive (e non distruttive), pecca profondamente nel considerare i nostri figli come deboli; assumendo spesso ruoli che non gli competono ma per cui esistono dei medici appositi.

Ho riscontrato una totale mancanza di volontà nell’aiutare il singolo a tirare fuori le sue peculiarità.Tutto questo, strumentalizzando spesso la malattia per lavorare di meno e assumere un’insegnante di sostegno. Quello che dovrebbe fare la scuola è tirare fuori da quei bambini speciali le migliori cose che hanno, portarli a renderli consapevoli della vita stessa e non etichettarli per qualcosa. Per fortuna, l’Ailr ha tutti gli strumenti a disposizione per aiutare le famiglie ad affrontare anche queste situazioni. La nostra associazione mette a disposizione un avvocato per osteggiare l’ignoranza delle istituzioni”.

Un bambino libero

Oggi Matteo è un bambino libero di fare e scegliere quello che vuole e io lo seguirò sempre. Ha fatto Muay thai e ora fa piscina (fondamentale per il suo percorso oncologico, per i muscoli, la circolazione, lo sviluppo fisico e per imparare la traiettoria).

Anche noi viviamo delle giornate no, come tutti. L’importante è affrontarle e andare avanti con positività. Solo con il supporto reciproco possiamo arrivare a trovare qualcosa per curare questa malattia.

Bisogna supportarsi a vicenda per raggiungere l’obiettivo, senza dimenticare che ci sono bambini che non ce la fanno. Dobbiamo farlo per chi combatte, per chi ha sconfitto o superato la malattia e per chi purtroppo se ne è andato”.

– Sonia

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