Superare la malattia: la storia di Sonia e Matteo
Aprile 13th, 2022 Posted by Martina Vitelli Informazioni sul Retinoblastoma No Comment yet“Siamo una diversità fortunata, diamo un valore aggiunto a quella quotidianità che ci travolge. Siamo delle rarità con una missione; una diversità per fare meglio”.
Sonia è una mamma di 45 anni; ne aveva 4 quando le fu diagnosticato il Retinoblastoma:
“Abitavo a Napoli; i miei avevano una macelleria. All’età di 4 anni ho iniziato a vedere male dall’occhio destro. Una cliente suggerì ai miei genitori di portarmi in Spagna, a Barcellona, precisamente al centro di oftalmologia Barraquer per farmi visitare dal dott. Garsia che ci diede la diagnosi precisa: si trattava di Retinoblastoma.
Tornati a casa, mi operarono per un retinoblastoma monolaterale sporadico; a suo tempo nessuno ci informò che poteva essere eriditario. Sono stata enucleata e ho iniziato a indossare la protesi all’occhio destro”.
Napoli Roma – Roma Napoli
Napoli Roma – Roma Napoli in treno, questo era il tragitto che Sonia percorreva insieme al padre per il cambio protesi:
“Il viaggio non mi è mai pesato; per me era una gita e un’occasione per trascorrere del tempo con mio padre. A Roma, ci recavamo all’Ocularistica italiana che ancora oggi segue tanti bambini per le protesi”.
“Sono cresciuta nei loro laboratori; grazie a loro ho scoperto come nasceva una protesi di cristallo e quanto il loro lavoro fosse una vera e propria arte. Lì ho trovato una grande famiglia che continua a seguirmi nonostante il passare del tempo. II loro modo esemplare di rapportarsi con i bambini riesce ad alleggerire qualsiasi situazione, compresa la mia”.
Una diversità da cui trarre forza
Nonostante la percezione nel sentirsi “diversa”, Sonia ha continuato ad andare avanti a testa alta:
“La diversità e la conseguente frustrazione, date non tanto dalla mia condizione quanto dalla percezione degli altri su di me, sono stati i fattori che mi hanno resa più forte di prima; mi hanno aiutato a superare l’ignoranza e nella crescita di mio figlio.
Ricordo che portavo i capelli lunghi (non è più così!) perché mi servivano a coprire l’occhio destro finché, crescendo, mi sono accorta che le cose importanti erano ben altre”.
Una nuova vita: la nascita di Roberto e la malattia di Matteo
Soffocata da una famiglia troppo protettiva, Sonia decide di lasciare Napoli.
“Il 3 settembre del 1999, a 19 anni, ho lasciato Napoli per Roma dove ho trovato lavoro e, dopo 4 anni, ho incontrato mio marito. Essere chiari, soprattutto in una relazione, è estremamente importante. Con lui ho affrontato subito il discorso della malattia. Se le scelte vanno ponderate, la chiarezza è alla base di tutto anche del retinoblastoma”.
“Il 5 giugno 2007 ci siamo sposati. In seguito ad un aborto spontaneo, sono rimasta incinta di Roberto, nato l’8 novembre 2008, e due anni dopo, il 2 novembre 2010, di Matteo. La seconda gravidanza è stata inaspettata e a rischio. Al 6° mese mi hanno diagnosticato il Citomegalovirus (si tratta di un virus che può portare a varie problematiche). Per questo, appena nato, Matteo è stato sottoposto subito a dei controlli ben precisi, tra cui anche quello alla vista”.
Da un male un bene
L’importanza di un virus nella scoperta del Retinoblastoma:
“Siamo stati fortunati per due motivi: perché quando è nato, Matteo aveva gli anticorpi ma non il Citomegalovirus, e perché tra gli altri controlli c’era la visita oculistica; ci hanno dimesso e schedulato una data per la visita alla vista a Villa San Pietro.
Durante la visita oculistica, i medici hanno notato delle cicatrici sulla retina ma invece di pensare alla mia storia oncologica, hanno collegato la causa direttamente al virus. Io, nonostante allora non sapessi della trasmissione genetica del retinoblastoma, non mi sono fidata dell’esito e ho deciso di rivolgermi ad un altro specialista.
La sera stessa ho scritto alla dott.ssa Modugno dell’Ocularistica italiana e lei prontamente mi ha risposto dandomi un appuntamento con il dottor Romanzo. Mi sono recata lì con mio figlio e lui ha confermato quanto temevo: Matteo aveva un retinoblastoma bilaterale familiare ereditato da me.
A soli 10 giorni di vita, mio figlio ha cominciato questo lungo percorso, iniziando con la risonanza magnetica e poi con l’intervento. A 20 giorni ha subito la prima chemioterapia. Da lì sono trascorsi 11 anni e devo ringraziare il virus. Senza quelle analisi avrei perso Matteo senza poter nemmeno combattere”.
Roberto
Il senso di colpa di Sonia per aver trasmesso, inconsciamente, la malattia a Matteo si ripercuote anche sul figlio più grande, Roberto:
“Se devi affrontare la malattia di un figlio a volte perdi di vista anche gli altri. Matteo si è ammalato quando Roberto aveva poco più di 2 anni. Lui è cresciuto sempre con me e, all’improvviso, mi ha visto scomparire per mesi, perché dovevo seguire le cure del più piccolo. E questo l’ha segnato inevitabilmente. A quell’età i bambini comprendono solo il fatto che tu non ci sei e si sentono abbandonati”.
Infatti, spesso dimentichiamo che la malattia non colpisce solo il paziente ma anche chi gli sta intorno:
“Roberto è cresciuto tra nido e ludoteca privata ed ospedaliera. Spesso per logistiche familiari lo portavo alle 5 del mattino e spesso tornavo a prenderlo alle 11 di sera. Questo perché la mia famiglia è lontana e mio marito sempre al mio fianco cercava di conciliare il tutto.
Oggi mio figlio porta una rabbia difficile da gestire a 13 anni, che ai tempi non sapeva esprimere. Invece Matteo è tutt’altro carattere: nonostante le chemio e le numerose anestesie totali, è sempre stato un bambino solare perché non c’è stata una volta che non è stato accompagnato da me in sala operatoria. Fin da piccolo gli ho fatto vivere quella situazione come un gioco: facevamo finta di mettere nella mascherina lo zucchero a velo e il gelato al cioccolato”.
Il bambino dei dolci
Grazie al costante supporto dei medici e degli infermieri, Matteo è diventato la mascotte dell’ospedale:
“Matteo è diventato “il bambino dei dolci” grazie al team dell’oculistica e al supporto costante degli infermieri; ci hanno sempre donato gratuitamente amorevolezza, parole dolci, sorrisi in ospedale. Mio figlio non ha mai avuto bisogno di gocce per tranquillizzarsi, aveva bisogno solo della mia mano.
Per Matteo gli infermieri sono diventati degli zii, una grande famiglia. Ora, se passa del tempo tra una visita e l’altra, mi chiede: “mamma quando andiamo a trovare gli zii?”
Per lui l’ospedale non è mai stato un pericolo, ma uno spiraglio di luce.
E questa è una grande vittoria. Significa riuscire a fargli vivere le cose in maniera serena”.
La strada è ancora lunga per Matteo: anche se l’occhio destro è buio ma c’è il suo organo, Sonia segue il percorso clinico del figlio step by step. Bisogna prima:
- salvare la vita;
- salvare l’organo;
- infine vedere la sua funzionalità.
L’ignoranza di uno può diventare la speranza di qualcun altro
“Grazie all’ignoranza (alla non conoscenza), 40 anni fa sono andata in Spagna, altrimenti non avrei mai saputo del Retinoblastoma.
Grazie all’evento del virus, abbiamo scoperto la malattia di mio figlio.
Da tutte queste esperienze, vissute in prima persona, voglio dire a chi sta attraversando il nostro stesso percorso, che non bisogna chiudersi in se stessi ma che dobbiamo aprirci per andare avanti, brutta o positiva che sia la situazione. È proprio grazie alle tante “aperture” e condivisioni se posso parlare qui, oggi, a nome mio e di Matteo.”
L’importanza dell’AILR
A novembre 2010, subito dopo la scoperta della malattia di Matteo, Sonia è stata tra le prime ad entrare nella famiglia dell’Ailr, fondata da Daniele e Francesca:
“L’associazione è fondamentale su tanti punti di vista compresa la comunicazione perché ci mette a contatto con il mondo esterno. L’Ailr ha come obiettivo quello di rendere migliore la vita dei pazienti attraverso testimonianze e progetti di beneficenza; con il lavoro di squadra per lavorare e alleggerire le giornate ospedaliere dei bambini.
Il nostro primo obiettivo è stato quello di acquistare un macchinario (donato all’ospedale di Santa Marinella), per diminuire le anestesie dei bambini e monitorare di continuo la malattia. Aveva un costo di 90 mila euro. Dalla multinazionale spagnola in cui lavoravo, sono riuscita ad ottenere 7mila euro di donazione.
A questo sono seguiti tanti altri progetti:
- Le stelle di cioccolato di Natale (ora diventati i nocciolati)
- Le uova di Pasqua
- Le bomboniere solidali
- La costruzione del parco giochi a Santa Marinella.
- La creazione di un gruppo di sostegno per i genitori che devono affrontare questo percorso.
- La casa di nonna Franca”
Il problema della scuola
Spesso, purtroppo, i bambini con disabilità si scontrano con diverse difficoltà durante l’inserimento scolastico. Sonia ha voluto condividere con noi anche questa esperienza, come monito ai tanti genitori che si trovano nelle stesse difficoltà:
“Oggi Matteo ha 11 anni e frequenta la prima media. Con il suo modo solare ci infonde forza, va avanti per la sua strada, nonostante l’ignoranza che deve affrontare ogni giorno, anche a scuola. Gli anni trascorsi alle elementari mi hanno dimostrato che una struttura come quella scolastica ancora non è in grado abbattere le barriere architettoniche sull’inclusione.
Mi sono scontrata con una classe docente che invece di incentivare le diversità costruttive (e non distruttive), pecca profondamente nel considerare i nostri figli come deboli; assumendo spesso ruoli che non gli competono ma per cui esistono dei medici appositi.
Ho riscontrato una totale mancanza di volontà nell’aiutare il singolo a tirare fuori le sue peculiarità.Tutto questo, strumentalizzando spesso la malattia per lavorare di meno e assumere un’insegnante di sostegno. Quello che dovrebbe fare la scuola è tirare fuori da quei bambini speciali le migliori cose che hanno, portarli a renderli consapevoli della vita stessa e non etichettarli per qualcosa. Per fortuna, l’Ailr ha tutti gli strumenti a disposizione per aiutare le famiglie ad affrontare anche queste situazioni. La nostra associazione mette a disposizione un avvocato per osteggiare l’ignoranza delle istituzioni”.
Un bambino libero
“Oggi Matteo è un bambino libero di fare e scegliere quello che vuole e io lo seguirò sempre. Ha fatto Muay thai e ora fa piscina (fondamentale per il suo percorso oncologico, per i muscoli, la circolazione, lo sviluppo fisico e per imparare la traiettoria).
Anche noi viviamo delle giornate no, come tutti. L’importante è affrontarle e andare avanti con positività. Solo con il supporto reciproco possiamo arrivare a trovare qualcosa per curare questa malattia.
Bisogna supportarsi a vicenda per raggiungere l’obiettivo, senza dimenticare che ci sono bambini che non ce la fanno. Dobbiamo farlo per chi combatte, per chi ha sconfitto o superato la malattia e per chi purtroppo se ne è andato”.
– Sonia